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mercoledì 28 dicembre 2011

Articoli: L'immaginario prigioniero

TECNOLOGIE DIGITALI E SVILUPPO PSICOLOGICO: QUANDO IL BAMBINO INCONTRA LA RETE  (prof. Tonino Cantelmi – dr.ssa Francesca Orlando)

INTRODUZIONE
Dopo la nascita il bambino si trova ad affrontare una serie di processi di adattamento all’ambiente extrauterino, primo fra tutti quello cognitivo.
L’intelligenza è, infatti, una forma di adattamento evolutivo che si stabilisce tra la mente e l’ambiente e si caratterizza nell’equilibrio di due importanti meccanismi cognitivi: l’assimilazione, che consiste nell’incorporare la realtà esterna nella struttura cognitiva e l’accomodamento, che consiste nell’adattare la struttura cognitiva al dato della realtà esterna.
Il rapporto tra questi due meccanismi costituisce l’adattamento intelligente all’ambiente, per mezzo dell’equilibrazione tra strutture cognitive e dati di realtà.
Attraverso tale rapporto, il bambino perviene a un adattamento, e quindi a una conoscenza, sempre migliore della realtà fisica e sociale, e anche alla possibilità di fare previsioni, esplorazioni e costruzioni di nuove scenari mentali.

LE FASI DELLA CRESCITA
Secondo il teorico cognitivista Piaget, lo studio della conoscenza nel bambino avviene per successione di stadi, come periodi di tempo in cui il pensiero e il comportamento del bambino –
all’interno di una varietà di situazioni – riflettono un tipo particolare di struttura mentale. Attraverso questi stadi si coglie la relazione tra il soggetto agente e pensante e l’oggetto della sua esperienza: il bambino, quindi, prende parte attiva al processo di conoscenza, costruisce la sua conoscenza.
Il passaggio da uno stadio all’altro comporta cambiamenti strutturali soprattutto di tipo qualitativo: ciascuno stadio deriva da quello precedente, lo incorpora, lo trasforma preparando la strada per quello successivo, quindi lo rielabora. Alcune abilità precedenti vengono eliminate, altre conservate: ogni stadio raccoglie i frutti del passato e distribuisce i semi del futuro.
Fino ai 2 anni, il bambino vive quello che Piaget chiama stadio senso-motorio, in cui viene a strutturarsi l’azione intellettuale motoria: il bambino interagisce con l’ambiente attraverso la percezione e l’azione. Dapprima sviluppa le azioni riflesse, le coordinazioni neuromuscolari innate, come  il riflesso di suzione che caratterizza, in particolare, la conoscenza orale di questo primo mese di vita; poi sviluppa i meccanismi di ripetizione degli schemi che si focalizzano sul corpo: il bambino sperimenta la percezione intermodale combinando vari schemi percettivi tra loro (sente un suono e volta la testa in direzione della fonte sonora); quindi comincia ad acquisire una prima intenzionalità nelle azioni, in cui l’oggetto comincia ad avere una sua identità (conservazione dell’oggetto) legata all’azione. Se l’oggetto scompare, il bambino non si porrà il problema di cercarlo poiché non ne suppone l’esistenza; solo in un secondo momento, si consoliderà anche la permanenza dell’oggetto, la cognizione che l’oggetto esiste anche se non è visibile; ancora, il bambino comincerà a sperimentare per prove ed errori, osservando gli effetti sugli oggetti dopo alcune ripetizioni.
È dai 18 ai 24 mesi d’età che Piaget fa risalire la nascita della capacità rappresentativa che consente al bambino di immaginare dove si trovi l’oggetto nascosto, grazie all’immaginazione delle possibili relazioni che ci possono essere state tra il tempo, lo spazio e l’oggetto. Anche nel linguaggio il bambino si esprimerà, oltre che per indicare e comunicare un bisogno, soprattutto per descrivere un evento o un oggetto.
Con il compimento del secondo anno d’età, il bambino è giunto a sviluppare un’intelligenza di tipo senso-motoria, con cui è riuscito a sperimentare nuove abilità mediante combinazioni mentali sempre più sofisticate.
Tra i 2 e i 6 anni, il bambino giungerà a perfezionare l’intelligenza rappresentativa preoperatoria, quindi l’intelligenza pratica, concreta (6-11 anni), per approdare all’intelligenza rappresentativa simbolica, formale, con cui il ragazzo comincia a rappresentarsi mentalmente non solo gli oggetti, ma anche le situazioni astratte.
Mentre il pensiero concreto è la rappresentazione di un’azione possibile, il pensiero formale è la rappresentazione di una rappresentazione di azioni possibili: le operazioni formali sono la trasposizione astratta delle rappresentazioni concrete.
La capacità di rappresentare gli oggetti pensati attraverso simboli permette al bambino piccolo di produrre e capire che una cosa (un oggetto o una parola) sta a rappresentarne simbolicamente un’altra. Permette, inoltre, di differenziare mentalmente il simbolo e il suo referente, cioè la cosa che il simbolo rappresenta, anche se questo è completamente diverso dall’oggetto referente.
Tale capacità prende il nome di rappresentazione simbolica, o semeiotica.
Mediante tale capacità, mentre il bambino concreto raggiungeva i suoi obiettivi comportamentali attraverso una sperimentazione per prove ed errori, il bambino simbolico interiorizza, mentalizza, immagina modi alternativi per raggiungere tali obiettivi.

GIOCO O REALTA’?
Un modo rappresentativo che illustra la capacità simbolica del bambino è dato dal gioco di finzione.
Se osserviamo dei bambini giocare, sentiremo spesso dire « facciamo finta che tu sei la mamma e io la figlia e andiamo al mercato?...», o altre circostanze, che prevedono la sovrapposizione intenzionale di una situazione ipotetica su una effettiva, nella quale il bambino è portato a trattare gli oggetti del mondo fittizio come se fossero i loro referenti reali, pur sapendo che non lo sono realmente.
L’importanza del gioco di finzione sta nel fatto che richiama qualcosa di simile al linguaggio metaforico; la trasformazione mentale degli oggetti o delle situazioni richiama alla mente l’utilizzo dell’immaginazione e del pensiero creativo (il cosiddetto pensiero produttivo e l’insight) e a queste stesse abilità cognitive evolute tende.
L’utilizzo del computer, prima, e di internet poi, ha in parte amplificato e in parte sostituito lo sviluppo di questi processi cognitivi.
Se si pensa che di fronte all’apparecchio televisivo domestico il bambino sviluppa una specificità rappresentativa, sviluppando la sola percezione a scapito degli altri sensi, la conoscenza del mondo esterno verrà canalizzata soltanto dal dato visivo.
E siccome anche i tempi di programmazione sono diventati, a tutt’oggi, molto più rapidi, il bambino è portato a captare una serie di messaggi prefabbricati, dove l'apporto dello spettatore è minimo, dove non c’è la possibilità di inserirsi mentalmente nel filmato e anticipare il finale della storia, perché tutto è meccanicamente preconfezionato, da consumare preferibilmente subito, a volte banale nel contenuto e che non prevede la partecipazione attiva dello spettatore.
Nello sviluppo delle strutture cognitive del bambino è importante che ci siano altre fonti di conoscenza, come per esempio la lettura, in cui il testo scritto permette al lettore di stabilire i tempi di immagazzinamento del contenuto, di ripercorrere passi precedenti, di padroneggiare la conoscenza a favore dello sviluppo della fantasia. L’immagine, infatti, per quanto affascinante condensa, senza sviscerarlo, tutto il messaggio che si vuole trasmettere.
Ogni famiglia possiede almeno un computer in casa e a usufruirne non sono solo gli adulti ma anche i bambini. Anzi diremmo soprattutto i bambini.
Nell’era della tecnologia, sono proprio i più piccoli a sapersi muovere tra fili e connessioni, a interpretare il libretto d’istruzione dell’ultimo videoregistratore dvd o a installare l’ultimo programma nel computer. Il computer ha favorito l’entrata sempre maggiore di informazioni e di input conoscitivi nella mente del bambino: oggi per fare una ricerca per la scuola basta connettersi al pc e, immettendo una parola chiave, racimolare quanto più materiale ci serve; una volta, per fare una ricerca bisognava consultare una montagna di libri, di volumi d’enciclopedia e a volte farsi raccontare qualcosa da chi era più esperto in quell’argomento. Con la Rete, la curiosità di sapere da più fonti è stata sostituita dalla curiosità di avere tutto e subito, in un modo sicuramente dannoso non solo dal punto di vista emotivo ma anche da quello cognitivo.
Che cosa spinge il bambino a entrare in Rete?
Sicuramente il mondo fantastico delle immagini. Il cyberspazio è di per sè una grande immagine, le cui molecole attirano i sensi trasformandoli in risposte emotive piacevoli e gratificanti.
« Uno spazio, dunque, dove regna la fantasia, la trasgressione, dove tutto è tollerato, o quasi. Vite che diventano mondi, che si distaccano dalla madre terra, che diventano pianeti in un gioco di equilibri gravitazionali che si modificano ogni giorno ed ogni notte, in luoghi dove il tempo si espande con regole proprie, come accade nella memoria dove tutto può risuccedere nello stesso istante. L'estensione finale dell'isolamento dalla vita quotidiana in un "non-spazio" della mente, che non è semplicemente una metafora letteraria ma una nuova frontiera, aperta all'esplorazione e persino agli insediamenti, che comincia a generare un forte impatto emotivo negli anni Ottanta, con il tramonto dell'era delle esplorazioni dello spazio, fino ad allora considerato l'ultima meta da conquistare[1]».
Il mondo virtuale affascina, dunque, perché permette di abbandonarsi a un oggetto che, in qualche modo, decide la modalità del nostro piacere, della nostra conoscenza; permette di sperimentare nuove dimensioni psicologiche, cognitive e mentali in genere, ma impedisce quindi al soggetto una indipendenza e un’attività propri della conoscenza nel mondo.
Il virtuale facilita ma, nello stesso tempo, ostacola il naturale percorso di apprendimento della realtà esterna così come di quella interna; impedisce al soggetto di mentalizzare uno stimolo, di rappresentarselo prima concretamente e poi simbolicamente, così come vuole la tradizione evolutiva dell’intelligenza del bambino. La Rete è come un gioco di parti che s’avvicendano l’una con l’altra alla ricerca di qualcosa di cui non si conosce l’esistenza, qualcosa di virtuale, qualcosa di apparentemente possibile ma concretamente irrealizzabile, qualcosa che esiste solo nelle potenzialità, nei nostri desideri e che, se anche fosse possibile vedere, non si potrebbe in realtà ottenere. Il virtuale, infatti, dà l’idea che qualcosa « potrebbe essere ma che non dà prova tangibile della sua presenza[2]». Il reale, invece, riporta allo stato concreto delle cose, alla tangibilità delle nostre debolezze, alla crudezza delle nostre effettive difficoltà di essere.
Entrare in Rete vuol dire affrontare un mondo pieno di stimoli che a volte, un po’ come sirene, annebbiano la nostra capacità di discernere tra ciò che è utile da ciò che può risultare dannoso.
Per i bambini, il rischio è ancora più alto in quanto soggetti in evoluzione psicofisica: inconsapevolmente, la Rete si sostituisce alla loro capacità di rappresentare mentalmente l’evento che si anima sul monitor; la vivacità dell’immagine, l’accesa colorazione e sonorità, trasformano questa finestra sul mondo in qualcosa che può recare solo conseguenze dannose.

CONCLUSIONI
I bambini del 2000 sono sicuramente bambini più svegli di quelli del millennio precedente, sono bambini che imparano presto a tradurre uno stimolo analogico in uno digitale e viceversa, ma sono anche bambini che affrontano in maniera difficoltosa tutte le situazioni per le quali non è previsto l’utilizzo di un computer.
Internet dà sicurezza perché permette di fare tutto e subito, di conoscere gli amici e, a volte, anche gli amori; dà il potere di raggiungere spazi mentali che difficilmente si troverebbero nella realtà delle cose concrete; dà la possibilità di creare e di essere creati, di conoscere e di essere conosciuti, in un certo modo, di essere e di fare.
Ma Internet non è un gioco e il mal utilizzo comporta, specie nei più piccoli, una sorta di dipendenza cognitiva (oltre che psicologica, nei casi più gravi), che schiavizza il bambino a vivere una dimensione non facilmente gestibile, sempre più a misura d’uomo e che, con la mente del bambino, non ha proprio niente a che vedere.


Prof. Cantelmi Tonino
Psichiatra,
Direttore della Scuola di Specializzazione In Psicoterapia, ARPCI – Roma

Dott.ssa Francesca Orlando
Psicologa


BIBLIOGRAFIA:
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Cantelmi T., Disturbi di dipendenza da Internet, Relazione, Convegno Nazionale “180  buone ragioni per la salute mentale”, Aula Magna, Università del Molise, Isernia 14-19 Dicembre 1998
Cantelmi T., D’Andrea A., Internet dipendenza, in AAVV (a cura di Jader Jacobelli), “La realtà virtuale”, Laterza, Saggi Tascabili, 1998
Cantelmi T., Talli M., Internet Addiction Disorders, Psicologia Contemporanea, Nov. - Dic. 1998, n.150, 4-11
Cantelmi T. – Talli M., Usi e abusi della “rete delle reti”, in Psicologia Contemporanea n°150, 1998
Cantelmi T., Talli M., D’Andrea A., Gasbarri A., Psicopatologia connessa ad Internet: recenti acquisizioni, Giornale di Medicina Militare, 149, 1-2, 49-54, 1999
Cantelmi T., Internet. Fenomeni di dipendenza, Relazione, IV Congresso Annuale SINAPSI, Roma, 25 Aprile 1999
Cantelmi T., Internet Related Psychopathology, Relazione, “La psichiatria e i suoi mondi relazionali”, IX Giornate di Psichiatria in Lampedusa, Società Italiana di Psichiatria, Lampedusa 3-6 Giugno 1999
Cantelmi T., Cyber Worlds, forme di comunicazione e psicopatologia, Relazione, Conference, Università Cattolica, Roma, 7 Ottobre 1999
Cantelmi T., La mente in Internet: le psicopatologie delle nuove esperienze on line, Cultura e Libri, 125, 5-8, 1999
Cantelmi T., Cyberspazio e rischi psicopatologici: osservazioni cliniche in Italia, Gruppi, Franco Angeli ed., vol II, n.1, 121-134, Gen- Giu. 2000
Cantelmi T., Internet Related Psychopatology: prima ricerca sperimentale italiana, Relazione, Convegno Nazionale, Cattedra di Psichiatria, Università di Palermo, 15 Aprile 2000
Cantelmi T., Presi nella Rete: studi sulla dipendenza psicologica da Internet, Cultura e Libri, 128, 21-25, Mag. – Giu. 2000
Cantelmi T., Psicologia del Trading on line, Borsa e Finanza, n. 137 del 15/07/2000; n. 147 del 29/07/2000; n. 152 del 05/08/2000
Cantelmi T., “Internet e nuove tecnologie in psichiatria”, XLII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria, Torino, 19 Ottobre 2000
Cantelmi T., “Tecno uomo ed emozioni dal silicio”, Convegno “Religione e Psichiatria”, ASL Alessandria, Teatro Comunale, Alessandria, 16 Dicembre 2000
Cantelmi T., Nella “Rete” della società dell’informazione, 55° Convegno Giovani della Cittadella di Assisi, 27-31 Dicembre 2000
Cantelmi T., Psicoterapia on line, in Psichiatri Oggi, CIC Edizioni Internazionali, 18-22, Anno III, n.1, Gen. – Feb. 2001
Cantelmi T., “L’amicizia e l’amore alle soglie del III millennio”, Relazione in @Bit of Life, Psicologia e Psicopatologia dei Sentieri Digitali, Aula Magna, CdL in Psicologia, Università di Palermo, 28 Marzo 2001
Cantelmi T., “Emozioni dal silicio: il tecno – uomo”, Relazione, Simposio Scientifico AIPPC-SITPA-IPP, Pontificia Università Gregoriana,
31 Marzo 2001
Cantelmi T., D’Andrea A., Talli M., IRP: una nuova categoria diagnostica? Studio on line e sperimentale sui fenomeni di dipendenza da Internet, X Congresso Nazionale AIAMC – Psicoterapia comportamentale e cognitiva, 26-28 novembre 1999, Abstract pag 96
Cantelmi T., De Marco M., Sarto A., Sfide alla morte: i sensation seekers, Psicologia Contemporanea, 161, 28-34, 2000
Cantelmi T., De Marco M., Talli M., Del Miglio C., Internet Related Psychopathology: aspetti clinici e recenti acquisizioni, Attualità in Psicologia, vol. 15, 2, 186-195, 2000
Cantelmi T., Del Miglio C., Talli M., D’Andrea A., Internet Related
Psychopathology: primi dati sperimentali, aspetti clinici e note critiche, Giornale Italiano di Psicopatologia, 6 (1): 40 – 51, 2000
Cantelmi T., Giardina Grifo L., Chat line: l’amore e l’amicizia in rete, in AAVV,  Nodi telematici e trame psicologiche, Franco Angeli ed., 2001
Cantelmi T., Lambiase E., L’irresistibile fascino della Rete, in “L’intimità svenduta”, Famiglia Oggi, ed. S. Paolo, XXIV, 1, 38-43, Gennaio 2000
Cantelmi T., Talli M., Emozioni dal silicio, Psicologia Contemporanea, n. 157, Gen. – Feb. 2000
Cantelmi T., Talli M., D’Andrea A., Del Miglio C., La mente in Internet, Piccin, 2000
Cantelmi T., Talli M., Putti S., Le nuove frontiere della psicoterapia: il paziente on line, Psicologia Contemporanea, 160, 58-64, 2000
Cantelmi T., Orlando F., Psicologia del trading on line, Centro Scientifico Editore, Torino, 2002
Cantelmi T., Grifo Giardina L., La mente virtuale, San Paolo, Milano, 2003
Cantlemi T., Orlando F., Narciso siamo noi, San Paolo, Milano 2005
Cantelmi T., Carpino V., Tradimento on line, Franco Angeli, Milano, 2005





[1] Cantelmi T., Orlando F., Psicologia del trading on line, pag. 6
[2] Op cit. pag. 33

Interviste in TV

Dalla trasmissione "Cominciamo bene", Rai Tre del 21/04/2005

      LA BELLEZZA AIUTA NELLA VITA ?

1)    Dr.ssa Orlando, la nostra società rincorre la bellezza, vive di immagine...quali   sono le conseguenze più pericolose di questa tendenza?

Una delle conseguenze più deleterie è quella di tralasciare i veri valori della vita per inseguire un mondo illusorio, quasi da favola, dove tutto è facilmente raggiungibile.
Altrettanto negativo è considerare la bellezza come l’unico lasciapassare per realizzarsi, ricorrendo ad ogni mezzo (più o meno invasivo, chirurgia plastica...che comporta anche dolore fisico...quindi, in un modo quasi masochistico...) per raggiungere la perfezione del proprio corpo.

2) I modelli imposti quotidianamente dai media come influiscono sui nostri
     comportamenti?

Condizionandoli o cmq suggestionandoli. Ciò si verifica principalmente nei confronti di quelle personalità meno strutturate e più deboli, come gli adolescenti ma non solo, che, per le problematiche legate all’età, sono alla ricerca di se stessi e spesso in conflitto con il proprio corpo, che cercano di plasmare secondo i canoni di bellezza imposti dai media, per sentirsi accettati nella società.

3) Quando l’attenzione al proprio aspetto, la ricerca della perfezione estetica  
        diventa pericolosa?

Quando assume valori così sproporzionati da diventare uno dei principali scopi della propria vita: in questo caso si parla di vera e propria patologia, cioè di un disturbo narcisistico che ha bisogno di un’adeguata terapia psicologica.


4) Lei ha scritto a 4 mani con lo psichiatra Tonino Cantelmi, il libro "Narciso siamo noi", il narcisismo è una patologia dei nostri tempi?

Direi proprio di sì perché, anche se il N è sempre esistito, mai come ora è divenuto un fenomeno sociale. Infatti in questa epoca di consumismo e di ricerca  dell’approvazione di sè, in vari aspetti della vita, si vengono a rafforzare questi meccanismi narcisistici per cui la persona non vive e matura le proprie emozioni relazionandosi con gli altri, ma tende a chiudersi in un proprio mondo dove le pulsioni affettive vengono rivolte esclusivamente verso se stesso. È per questo che si parla di Narcisismo che trae origine dal mito greco del giovane cacciatore, così innamorato della propria immagine riflessa nell’acqua da cadere e morire annegato.


5) Quali caratteristiche ha la persona narcisistica?

Il Narcisista si presenta arrogante, presuntuoso in quanto ha un alto concetto di sè che lo porta a sopravvalutare le proprie qualità fisiche e psichiche; crede di essere speciale e unico, frequenta solo persone da cui sa di poter ricevere ammirazione e comprensione. Questi atteggiamenti in realtà mascherano una profonda crisi caratterizzata da una scarsa autostima e da una profonda insicurezza.

6) Narcisi si nasce o si diventa?

Secondo alcuni autori, un sano narcisismo è insito in ognuno di noi e rappresenta una tappa fondamentale per l’accrescimento della nostra autostima. Diventa patologico quando l’amore di  se è così grande da escludere qualsiasi relazione con gli altri.
Secondo diversi autori, tale disturbo è l’effetto di una cattiva rispondenza affettiva materna durante le primissime fasi del rapporto con il bambino.


7) In quale ambiente è diffusa la presenza dei narcisisti?

Sicuramente in modo prevalente nel mondo dello spettacolo in generale: TV, moda, pubblicità, cinema , carta stampata laddove l’immagine vale di più di mille parole.
Ciò che conta è l’apparire, la forma, e non  il contenuto, la sostanza.

 8) Che pericoli corrono le persone che vivono la bellezza in modo del tutto
     autoreferenziale?

Isolamento affettivo per l’incapacità di creare rapporti di amicizia, di amore con l’altro inteso come persona a sè, e non come strumento per il raggiungimento del suo benessere egoistico e individuale.
Vivere quindi in un mondo distaccato dalla realtà esterna.


9) I cosiddetti belli sono inevitabilmente un pò narcisi?

Non necessariamente in senso patologico, perché tutto dipende dal valore che la persona dà alla propria bellezza, che è un elemento in più, che gratifica, certamente, ma che deve essere supportato da altre qualità quali l’intelligenza, la simpatia ecc.


10) Per molti l’esigenza di un aspetto fisico piacevole nasconde un bisogno di essere accettati... Perché  la bellezza resta il valore più riconoscibile?

Perché la bellezza è una qualità che colpisce al primo impatto. Inoltre è opinione comune, peraltro supportata da studi psicosociali,  che la bellezza equivalga a bontà e competenza. Pertanto sentirsi bello o diventarlo permette di acquisire una buona dose di autostima e quindi un più facile approccio nei rapporti interpersonali.

Intervista sul libro “Psicologia del Trading on line”, Rai Utile, 23.06.05

Intervista sul libro “Narciso siamo noi”, Sky Tg 24, 07.12.05

 

Dicono di me: Narciso siamo noi


Articolo tratto dalla Rivista "Mondosalute", 2005

Recensione del libro in "Polizia penitenziaria - SGS", num.120, luglio/agosto 2005

SUPPLEMENTO SALUTE

Dal sito http://www.larepubblica.it/
24/03/2005
pag. 45 Scaffale

La società d'oggi ci farà tutti Narcisi
TEMA da molti specialisti studiato e che ci riguarda tutti da vicino è quello del narcisismo. Parola che trova la sua origine nella mitologia Greca e in particolare nel mito di Narciso che così bello, s'innamora della sua immagine riflessa in uno specchio d'acqua e se ne compiace a tal punto da cadere e affogare. Il narcisismo nella nostra società è un fenomeno assai diffuso ed è di esso che si occupano gli autori, visto alla luce delle dinamiche sociali e dei situazione relazionali d'oggi. Il fenomeno dunque che va crescendo, andrà considerato "non più solo come problematica psicologica,ma come patologia sociale,politica e religiosa". (caterina viola)
Narciso siamo noi
Tonino Cantelmi, Francesca Orlando
pagg. 156 - 9 E - Ed. San Paolo


Dal sito http://www.supereva.it/


Dal sito di Rai Utile

Schiavi della tecnologia



23 giugno 2005







Chi pensa che la dipendenza possa essere solo legata agli stupefacenti, all’alcol, al fumo o al cibo
sbaglia. Sempre piu’diffusa e’anche la dipendenza da internet. Un esercito di drogati senza droga. Almeno due italiani su cento sono ossessionati dalla rete e dalla posta elettronica. Una categoria a rischio sono gli adolescenti e gli studenti universitari che per gioco, per piacere o studio passano molte ore davanti al computer. Il 53% dei bambini naviga fuori dalla supervisione dei genitori e il 52% frequenta regolarmente le chatline. Per i minori, ma non solo, i mezzi di comunicazione presentano evidenti vantaggi e potenziali pericoli. Anche il cellulare ha introdotto nuovi comportamenti nella vita quotidiana e nuove modalita’di comunicazione nei rapporti umani. Gli sms, soprattutto tra i giovani, sono diventati una pratica dotata di un’attrazione irresistibile, una nuova forma di piacere che si e’ ben presto trasformata in una nuova forma di dipendenza: quella da telefonino. Durante la puntata parleremo quindi di cellulare mania, internet addiction e dipendenza da videogame con relative ripercussioni sui famiglie e in particolare sui bambini. Gli ospiti presenti in studio affronteranno l’argomento proponendo soluzioni e consigli per i nostri telespettatori. Moreno Marcucci, professore di psicologia dell’Universita’di Urbino, Federico D’Agostino, professore di sociologia della famiglia dell’ Universita’Roma Tre, Federica Cagnoni, psicoterapeuta del Centro di terapia strategica di Arezzo, Francesca Orlando, psicologa, Federico Vigevano, membro LICE (lega italiana contro epilessia) Daniele La Barbera, presidente societa’italiana di psicotecnologie e collegamento telefonico con lo psicologo e scrittore Paolo Crepet. Chi pensa che la dipendenza possa essere solo legata agli stupefacenti, all’alcol, al fumo o al cibo sbaglia. Sempre piu’diffusa e’anche la dipendenza da internet. Un esercito di drogati senza droga. Almeno due italiani su cento sono ossessionati dalla rete e dalla posta elettronica. Una categoria a rischio sono gli adolescenti e gli studenti universitari che per gioco, per piacere o studio passano molte ore davanti al computer. Il 53% dei bambini naviga fuori dalla supervisione dei genitori e il 52% frequenta regolarmente le chatline. Per i minori, ma non solo, i mezzi di comunicazione presentano evidenti vantaggi e potenziali pericoli. Anche il cellulare ha introdotto nuovi comportamenti nella vita quotidiana e nuove modalita’di comunicazione nei rapporti umani. Gli sms, soprattutto tra i giovani, sono diventati una pratica dotata di un’attrazione irresistibile, una nuova forma di piacere che si e’ ben presto trasformata in una nuova forma di dipendenza: quella da telefonino. Durante la puntata parleremo quindi di cellulare mania, internet addiction e dipendenza da videogame con relative ripercussioni sui famiglie e in particolare sui bambini. Gli ospiti presenti in studio affronteranno l’argomento proponendo soluzioni e consigli per i nostri telespettatori. Moreno Marcucci, professore di psicologia dell’Universita’di Urbino, Federico D’Agostino, professore di sociologia della famiglia dell’ Universita’Roma Tre, Federica Cagnoni, psicoterapeuta del Centro di terapia strategica di Arezzo, Francesca Orlando, psicologa, Federico Vigevano, membro LICE (lega italiana contro epilessia) Daniele La Barbera, presidente societa’italiana di psicotecnologie e collegamento telefonico con lo psicologo e scrittore Paolo Crepet.

Narciso siamo noi
Fa parte della Collana
pratico e applicativo, o di ricerca sulla psiche e sul
comportamento umano, il saggio "illuminante" di
Tonino Cantelmi e Francesca Orlando che descrive
una delle patologie più diffuse nell'uomo
contemporaneo
I prismi, opere a carattere
Narciso siamo noi
San Paolo, 160 pagine, 9,00 euro) si presenta come un approfondito
esame di quel complesso fenomeno - conflitto interiore, conflitto
sociale o relazionale - che prende il nome di "narcisismo".
Nella prima parte,
excursus in cui si precisano i determinanti storico-sociali del
narcisismo, elementi mitologici, filosofici, letterari e, naturalmente, di
psichiatria e di psicologia, concorrono a delineare le caratteristiche
dell'individuo che soffre di questo vero e proprio disturbo della
personalità.
La seconda parte,
della relazione fra il narcisismo e la società odierna: l'importanza delle
immagini e della propria immagine, il voler e il dover apparire a tutti i
costi, la tendenza ad affermarsi in politica e in posizioni di potere nel
lavoro quanto nelle relazioni più personali o di coppia, sono solo alcuni
dei temi trattati con competenza e chiarezza.
Fra i capitoli più interessanti, vanno sottolineati quelli dedicati alla
Rete - il narciso che si specchia nella Rete e che ne è preda -, alle
persone di spettacolo, con un'interessante intervista al regista Pupi
Avati, ed alla vita consacrata, dove, fra l'altro vengono menzionate
sette sataniche e New Age come nuove forme di narcisismo spirituale.
Emerge, dalla lettura di questo saggio, un'immagine davvero
desolante dell'uomo moderno: il narcisismo non è più solo una
problematica psicologica, ma diventa una patologia sociale, politica e
religiosa che ci affligge in modo generalizzato.
E come Narciso ritrova nell'acqua la sua immagine custodita e riflessa,
ciascuno di noi, nelle parole di questo saggio può ritrovare, in misura
diversa, un po' di se stesso e di chi gli sta intorno.
Quale sia, se esiste, una via d'uscita da questa condizione, non viene
precisato in modo esplicito, ma il primo passo verso una nuova
consapevolezza, e dunque un cambiamento, potrebbe essere una
presa di coscienza forte e decisa delle dinamiche che caratterizzano i
rapporti del narcicista.
In questo senso anche e soprattutto la lettura di un libro - questo -
sarà senza dubbio "illuminante".

UFFICIO STAMPA RAI
Recensione programma trasmesso su Rai Tre, ore 12.55, il 21/04/2005
COMINCIAMO BENE

La bellezza aiuta nella vita? Questo giovedì 21 aprile il tema di “Cominciamo Bene”, alle ore 10.10 su Raitre. Tra gli ospiti di Corrado Tedeschi ed Elsa Di Gati la psicologa Francesca Orlando, il cantante Franco Califano, la scrittrice Alessandra Appiano, la truccatrice Jole Anna Panzera e la modella Pamela Camassa. In studio anche Dino Petri e Loriano Ricci, ironici membri di un curioso “Club dei Brutti”.
A “Prima” (9.05) Pino Strabioli incontrerà l’attrice Agnese Nano. Ad “Animali e Animali” (ore 9.55) Licia Colò farà scoprire uno dei luoghi naturali italiani più suggestivi: il Parco del Delta del Po. Un viaggio attraverso i mille canali che lo compongono per ammirare la fauna, la particolare flora acquatica e le tante curiosità nascoste.
Il Santo Graal è infine il titolo della puntata de “Le Storie” (ore 12.45) di Corrado Augias. In studio lo scrittore Valerio Massimo Manfredi parlerà di questo famoso calice, su cui storici ed esoterici hanno costruito nel tempo miti e leggende.

Dicono di me: Psicologia del Trading on Line

Articoli: Psicologia del Trading on Line

Le radici della dipendenza: un punto di vista psicosociale

A determinare la dipendenza psichica di un individuo interviene la predisposizione della personalità.
La dipendenza patologica è una caratteristica dell’essere umano poiché tra l’individuo e l’oggetto si stabilisce una sorta di relazione. Quando ci rapportiamo agli altri stabiliamo uno scambio che si viene a creare entro uno spazio ben delimitato.
Studi psicosociali (Hall, 1966) hanno messo in evidenza l’importanza della distanza che si deve mantenere tra due persone nello scambio relazionale.
Le regole che governano la distanza fisica tra due soggetti variano a seconda della natura della relazione.
Per questo motivo, si individuano 4 aree di relazione:
1)     L’area dell’intimità, compresa tra il contatto fisico e una distanza di 50 cm. Questa area è ad appannaggio delle conoscenze più strette, per cui se si inserisce un estraneo la risposta più naturale è il sospetto o l’irritazione.
2)   L’area della distanza personale, compresa tra mezzo metro e un metro e mezzo. Questa area è aperta agli amici più intimi, alle conoscenze fidate e alle persone con cui si condividono interessi particolari.
3)   L’area della distanza sociale, compresa tra un metro e mezzo a tre metri e mezzo di distanza dal corpo. Questa è l’area delle relazioni impersonali, dei rapporti di lavoro o degli incontri occasionali.
4)   L’area pubblica che va al di là dei tre metri e mezzo ed è l’area in cui si stabiliscono gli incontri formali e quelli importanti con persone di alto rango.

Tali studi misero in evidenza come l’importanza dei confini personali determini la buona riuscita della relazione tra due o più individui.
Quando si ha troppo bisogno dell’altro, esso non fa altro che riempire un aspetto di noi stessi che sentiamo vuoto. In questo caso si verifica la dipendenza dall’oggetto esterno. La richiesta che viene rivolta da questo individuo è una richiesta esagerata poiché questo tipo di vicinanza non permette un semplice scambio relazionale, ma un bisogno di identità, il bisogno di trovare il proprio Sé.
Le carenze personali trovano soddisfazione attraverso la relazione: il giocatore d’azzardo, così come il tossicodipendente, cerca qualcosa che lo faccia sentire vivo; essi si nutrono, con una modalità quasi bulimica, dell’oggetto esterno (gioco, sostanza stupefacente...) in modo che l’esterno si internalizzi per diventare parte di sé. L’esterno è perciò utilizzato per controbilanciare l’interno.
La personalità dipendente ha importanti problemi di fragilità del Sé.
Il Sé è l’apparato psichico che filtra gli aspetti interni per coniugarli con la realtà esterna, è l’organizzazione narcisistica di base, il senso di esserci e di funzionare.
Il Sé è un’importante parte di noi che si sviluppa pian piano nel rapporto iniziale con la madre. La madre deve trasmettere al bambino emozioni positive del proprio corpo facendogli il bagnetto, parlandogli, dicendogli che è bello, accudendolo in ogni suo bisogno. In questo modo il bambino si sente amato, si costruisce una buona autostima e sarà in grado di affrontare, in adolescenza, i cambiamenti interni ed esterni al suo Sé.
Questa internalizzazione del funzionamento della madre gli consente di metter dentro di sé le funzioni dell’autocura, del contenimento creando una situazione di autocostruzione che gli permetterà di prendersi cura del proprio autofunzionamento interno. Tutto questo meccanismo psichico naturale comincia a non funzionare quando  intervengono degli impedimenti ad opera della persona della madre, perché problematica o con conflitti non ancora risolti col proprio Sé e, per questo, non adeguatamente in grado di svolgere il compito richiesto.
Quando la madre utilizza il bambino come sostituto per far funzionare il suo Sé, il bambino si trova in una situazione di rischio. La madre non riesce a riconoscere i bisogni del figlio, non gli permette di costruirsi il suo autofunzionamento: si creano le basi per una futura dipendenza.
In tal modo il bambino cresce con la certezza di non aver bisogno del terzo (il padre o, la sua rappresentazione simbolica, l’esterno), per la presenza materna costante che lo soddisfa in ogni richiesta e necessità. Il bambino si attacca a questo esterno materno e la madre si sente soddisfatta di questa “relazione”.
Il padre, che dovrebbe terzializzare la relazione con lo scopo di tagliare il cordone ombelicale fisico e psichico e di presentare al bambino l’esistenza di una realtà esterna più allargata per smitizzare questo grande valore della madre, non ha però possibilità di entrata; in tal modo il bambino si fisserà nell’area border, nella fase ancora antecedente a quella in cui poter fruire dei benefici dell’identificazione col padre.
Quando il soggetto possiede un Sé fragile è dunque attaccato all’esterno, ha un’identificazione paterna carente e rischia di rimanere impigliato in relazioni di dipendenza affettiva sviluppando forti conflitti e sensi di colpa.

Le radici della dipendenza
A determinare la dipendenza psichica di un individuo interviene la predisposizione della personalità.
La dipendenza patologica è una caratteristica dell’essere umano poiché tra l’individuo e l’oggetto si stabilisce una sorta di relazione. Quando ci rapportiamo agli altri stabiliamo uno scambio che si viene a creare entro uno spazio ben delimitato.
Studi psicosociali (Hall, 1966) hanno messo in evidenza l’importanza della distanza che si deve mantenere tra due persone nello scambio relazionale.
Le regole che governano la distanza fisica tra due soggetti variano a seconda della natura della relazione.
Per questo motivo, si individuano 4 aree di relazione:
1)      L’area dell’intimità, compresa tra il contatto fisico e una distanza di 50 cm. Questa area è ad appannaggio delle conoscenze più strette, per cui se si inserisce un estraneo la risposta più naturale è il sospetto o l’irritazione.
2)     L’area della distanza personale, compresa tra mezzo metro e un metro e mezzo. Questa area è aperta agli amici più intimi, alle conoscenze fidate e alle persone con cui si condividono interessi particolari.
3)     L’area della distanza sociale, compresa tra un metro e mezzo a tre metri e mezzo di distanza dal corpo. Questa è l’area delle relazioni impersonali, dei rapporti di lavoro o degli incontri occasionali.
4)     L’area pubblica che va al di là dei tre metri e mezzo ed è l’area in cui si stabiliscono gli incontri formali e quelli importanti con persone di alto rango.

Tali studi misero in evidenza come l’importanza dei confini personali determini la buona riuscita della relazione tra due o più individui.
Quando si ha troppo bisogno dell’altro, esso non fa altro che riempire un aspetto di noi stessi che sentiamo vuoto. In questo caso si verifica la dipendenza dall’oggetto esterno. La richiesta che viene rivolta da questo individuo è una richiesta esagerata poiché questo tipo di vicinanza non permette un semplice scambio relazionale, ma un bisogno di identità, il bisogno di trovare il proprio Sé.
Le carenze personali trovano soddisfazione attraverso la relazione: il giocatore d’azzardo, così come il tossicodipendente, cerca qualcosa che lo faccia sentire vivo; essi si nutrono, con una modalità quasi bulimica, dell’oggetto esterno (gioco, sostanza stupefacente...) in modo che l’esterno si internalizzi per diventare parte di sé. L’esterno è perciò utilizzato per controbilanciare l’interno.
La personalità dipendente ha importanti problemi di fragilità del Sé.
Il Sé è l’apparato psichico che filtra gli aspetti interni per coniugarli con la realtà esterna, è l’organizzazione narcisistica di base, il senso di esserci e di funzionare.
Il Sé è un’importante parte di noi che si sviluppa pian piano nel rapporto iniziale con la madre. La madre deve trasmettere al bambino emozioni positive del proprio corpo facendogli il bagnetto, parlandogli, dicendogli che è bello, accudendolo in ogni suo bisogno. In questo modo il bambino si sente amato, si costruisce una buona autostima e sarà in grado di affrontare, in adolescenza, i cambiamenti interni ed esterni al suo Sé.
Questa internalizzazione del funzionamento della madre gli consente di metter dentro di sé le funzioni dell’autocura, del contenimento creando una situazione di autocostruzione che gli permetterà di prendersi cura del proprio autofunzionamento interno. Tutto questo meccanismo psichico naturale comincia a non funzionare quando  intervengono degli impedimenti ad opera della persona della madre, perché problematica o con conflitti non ancora risolti col proprio Sé e, per questo, non adeguatamente in grado di svolgere il compito richiesto.
Quando la madre utilizza il bambino come sostituto per far funzionare il suo Sé, il bambino si trova in una situazione di rischio. La madre non riesce a riconoscere i bisogni del figlio, non gli permette di costruirsi il suo autofunzionamento: si creano le basi per una futura dipendenza.
In tal modo il bambino cresce con la certezza di non aver bisogno del terzo (il padre o, la sua rappresentazione simbolica, l’esterno), per la presenza materna costante che lo soddisfa in ogni richiesta e necessità. Il bambino si attacca a questo esterno materno e la madre si sente soddisfatta di questa “relazione”.
Il padre, che dovrebbe terzializzare la relazione con lo scopo di tagliare il cordone ombelicale fisico e psichico e di presentare al bambino l’esistenza di una realtà esterna più allargata per smitizzare questo grande valore della madre, non ha però possibilità di entrata; in tal modo il bambino si fisserà nell’area border, nella fase ancora antecedente a quella in cui poter fruire dei benefici dell’identificazione col padre.
Quando il soggetto possiede un Sé fragile è dunque attaccato all’esterno, ha un’identificazione paterna carente e rischia di rimanere impigliato in relazioni di dipendenza affettiva sviluppando forti conflitti e sensi di colpa.

 
Una curiosa “analogia”
Per Freud lo sviluppo psichico del bambino passa attraverso vari stadi di evoluzione psicosessuale caratterizzati dal passaggio e dalla concentrazione della libido da una zona erogena all’altra.  Dallo stadio orale che si focalizza sull’erotismo orofacciale, per cui ogni tipo di conoscenza – anche quella sessuale – passa attraverso la bocca e i suoi derivati, si passa alla fase anale in cui il bambino acquisisce una progressiva indipendenza dettata dall’emergere di nuovi bisogni che si affacciano alla conoscenza del bambino di circa 2-3 anni. Le espressioni orali continuano a manifestarsi, ma con esse contemporaneamente nuovi bisogni e nuovi conflitti: la fonte pulsionale corporea è incentrata non solo nella mucosa anorettale ma anche in tutta la mucosa intestinale. Per Abraham l’ano corrisponde embriologicamente alla bocca primitiva, migrata in basso fino all’estremità dell’intestino; per altri, la convinzione comune a tutti i bambini è la teoria cloacale della nascita per cui il bambino viene partorito dall’intestino come materia escrementale.
Successivamente, il bambino vivrà il primo periodo del primato genitale attraverso la fase fallica: in essa le precedenti pulsioni parziali andranno ad abbozzare una relativa unificazione, con l’obiettivo di giungere, alla fine dello stadio genitale, ad una piena fusione e integrazione di tutti gli impulsi precedenti sulle zone genitali e attraverso l’investimento della libido sui coetanei, generalmente di sesso opposto.
Dopo che le feci hanno perso il loro valore l’interesse del bambino è rivolto ad oggetti che possono essere offerti in regalo. E poiché le feci furono il primo regalo che il bambino poté fare alla madre, analogamente egli investe il suo pene. Quando si accorge che le bambine non possiedono un pene, egli arriva a considerarlo come qualcosa di staccabile, acquistando l’inconfondibile analogia con gli escrementi, che furono il primo pezzo di materia corporea cui il bambino dovette rinunciare.

                                                                       ***

Lo stadio anale è un momento importante nello sviluppo delle relazioni con gli altri, perché il bambino comincia a distinguere tra interno ed esterno, fra me e non me.
Il contenuto intestinale rappresenta infatti una moneta di scambio fra il bambino e la madre nel senso che egli può viverlo come regalo da offrire o, all’opposto, da negare esprimendo quanto egli sia disposto così ad adattarsi alle richieste che gli vengono poste. È chiaro che il conflitto tra il trattenere e l’espellere, tra l’essere assertivo o oppositivo, tra la generosità e l’avarizia è influenzato da molte variabili quali l’età e l’atteggiamento flessibile o rigido di chi si prende cura del bambino riguardo la defecazione, il controllo e  la pulizia.
Ciò che si richiede al bambino di quest’età è la capacità di sapersi controllare, quando serve: l’espulsione spontanea involontaria della fase precedente deve essere sostituita da un’espulsione volontaria. Così il desiderio di gratificazione immediata viene frustrato per dar luogo alla capacità di differimento. Alcuni bambini reagiscono a regole di pulizia severa trattenendo le feci ed esprimendo così atteggiamenti di negativismo e opposizione (relazione masochistica). I materiali fecali così trattenuti, veri e propri "primi risparmi", rimangono in correlazione inconscia con tutte quelle attività che abbiano alla loro base il raccogliere, il collezionare, altri defecano in modo incontrollato i luoghi inadeguati esprimendo così atteggiamenti oppositivi con minor controllo pulsionale, il tipico atteggiamento iroso, (relazione sadica). Come reazione a un’educazione particolarmente rigida a tenersi pulito, il bambino può diventare sporco, disordinato e irresponsabile o, all’opposto, coercitivamente pulito, frugale ed estremamente controllato. Quando, infatti, l'odore delle feci diventa repellente, l’interesse si sposta su un altro materiale meno maleodorante come il fango e poi, quando il senso di pulizia diventa per lui importante, qualsiasi materiale umido e viscoso viene sostituito dalla sabbia che pur mantenendo lo stesso colore è asciutta e pulita.
Successivamente anche la sabbia diventa inaccettabile e inizia così quella che Ferenczi definisce "l'età infantile della pietra", durante la quale il bambino raccoglie conchiglie, sassi levigate e pietrine d'ogni colore e forma, oggetto della mania collezionistica infantile, per poi maneggiare monete e monetine. Originariamente non è il valore puramente economico a interessare il bambino, ma il piacere di guardare, manipolare, giocare con i dischetti metallici. «In questo modo lo sviluppo del simbolo del denaro è compiuto. Il piacere che prima dava il contenuto intestinale, ora diviene piacere per il denaro che non è altro che "sterco inodore, disidratato e luccicante"» (Nobile, 2001)
La lode della madre per il bambino che riesce a tenersi pulito può fargli vivere le feci come regalo in cambio del quale ricevere amore: l’adulto che ne deriverebbe sarebbe un uomo che dona, un generoso; se il bambino rifiuta di cedere i suoi contenuti intestinali potrebbe diventare un adulto ritentivo e avaro, sicuramente un grande collezionista.
Sotto un profilo squisitamente psicopatologico, adulti fissati a questo stadio potrebbero manifestare importanti disturbi ossessivo – compulsivi, fobici, somatizzazioni a livello gastro – intestinale, ansia e depressione.
Un aspetto importante della concezione freudiana  è quella di rapportare simbolicamente le feci al denaro, l’oro al sudiciume; « la celebre equazione di Freud, denaro = feci, è un’implicita, per quanto involontaria, critica al funzionamento della società borghese e della sua possessività» (Fromm, 1976).
L’attuale società è infatti caratterizzata dal fenomeno del consumismo che ben si inserisce nella cultura dell’avere più che dell’essere, poiché rimanda al concetto di incorporare, trattenere ma anche a quello di eliminare, espellere.
« Il consumatore è come un bambino continuamente affamato delle cose: una condizione, questa, che ben si affianca alla dipendenza da sostanze e da comportamenti. Da una parte, infatti, il consumo placa l’ansia di possedere qualcosa che non può essergli tolto, dall’altra porta il soggetto a volere sempre di più dal momento che l’acquisto precedente perde, ben presto, il proprio carattere gratificante.
   Nei secoli addietro, l’acquisto aveva carattere duraturo e tutto ciò che si possedeva veniva tenuto in grande considerazione, curato e usato fino a quando era possibile. La filosofia moderna si basa sul consumo e non più sulla conservazione e l’acquisto viene fatto in previsione di essere poi buttato» (Cantelmi, Orlando, 2005)
Il denaro, rende di conseguenza i rapporti sociali inodori se non inesistenti, freddi, metallici, certamente anaffettivi.
«Nelle nostre società, da quando il denaro ha acquistato una singolare mobilità, passando di mano in mano senza sosta, e trasformando la condizione degli individui, innalzando o abbassando la famiglia, non c’è quasi più nessuno che non sia obbligato a fare sforzi disperati per cercare di conservarlo o acquisirlo. La brama di arricchirsi a ogni costo, il gusto degli affari, l’amore del guadagno, la ricerca del benessere e dei piaceri materiali sono dunque le passioni più comuni» (Tocqueville,1835)
 
Bibliografia
Cantelmi T. – Orlando F., Narciso siamo noi, San Paolo, 2005
Ferenczi S., Sull'ontogenesi dell'interesse per il denaro, 1914
Fromm E., Avere o essere?, Mondadori, 1977
Nobile G., L'Euro e l'età infantile della pietra, Il Manifesto, 2001
Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli,


La mente nella Rete
Le motivazioni
I motori decisionali degli investitori sono legati all’affermazione e all’avventura.
L’affermazione è la ricerca della riuscita e del potere. Lo spirito che alimenta l’affermazione è l’ilynx (la vertigine), il rischio per cui gli investitori spinti dal gusto per il rischio si chiamano ‘alpinisti’.
In particolare gli investitori spinti dal desiderio di riuscita sono indotti dalla soddisfazione che comporterebbe la riuscita dell’operazione; non si preoccupano del denaro perso o vinto, ma solo del meccanismo che li ha portati a vincere o perdere, rimanendo inconsapevolmente schiavi di un circolo vizioso subdolo e insidioso.
Sono sicuramente gli investitori più pericolosi perché non si interessano dei possibili danni economici. In questo caso, l’affermazione spinge a vincere.
L’avventura è, invece, la ricerca del successo e anche dell’insuccesso. Lo spirito che alimenta la motivazione dell’avventura invece è l’alea (dal lat., il gioco => la sfida al caso) per cui gli investitori spinti dal gusto della vittoria si chiamano semplicemente ‘gamblers’ (che in italiano significa ‘giocatori’). In particolare, i giocatori motivati all’insuccesso affrontano rischi più grandi di quelli che possono gestire (dunque finiscono in rovina) o rischi bassissimi connessi a guadagni altrettanto bassi ( cadono nella mediocrità e non crescono). In questo caso l’avventura spinge a rischiare.

Le emozioni
Si rintracciano due forze emotive di base che dominano il giocatore: lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco.
Chi gioca invaso da uno stato dionisiaco di intenti certamente cadrà nella trappola di rischio e dipendenza che tale operazione comporta.
Chi s’avvicina invece con uno stato apollineo di intenti, razionalizza ogni comportamento e calcola ogni sua mossa guidato dalla logica, da informazioni che ottiene dopo oculate ricerche e studi. Ma il gioco è fatto di spiriti apollinei e dionisiaci fusi insieme, in modo da garantire un’elasticità di movimento nelle operazioni con un pizzico di razionalità nel momento della scelta del gioco.
La gamma di emozioni che si provano di fronte al gioco riguardano la ‘gioia’ di un guadagno, la ‘tristezza’ di una perdita non solo materiale ma anche di stima personale, la ‘paura’ come emozione dinamica di qualcosa che può evolversi in perdita o in guadagno e che quindi si concretizza in tristezza o gioia, la ‘rabbia’ come effetto successivo della tristezza, infine il ‘disprezzo’ verso il sistema che non segue le intuizioni del giocatore e che lo porta a scegliere altri campi di interesse.

Meccanismi di difesa
Se la motivazione del trader è quella di emergere e di rischiare, considerando l’imprevedibilità del Mercato, il prezzo da pagare è sicuramente quello di fare i conti con l’ansia legata al rischio. Per superare l’ostacolo (che non comporta di per sé il raggiungimento del fine ma la messa in atto delle premesse per tale obiettivo), o almeno per difendersi dalle implicazioni psicologiche ad esso connesse (le emozioni connesse alla frustrazione), l’investitore mette in atto delle tecniche di comportamento per arginare l’ansia e conservare integra l’autostima personale., chiamate appunto meccanismi di difesa.
Distorsione, negazione, somatizzazione, razionalizzazione e controllo, spostamento e rimozione, questi i principali usati nel trading on line:

- distorsione: la realtà esterna è grossolanamente rimodellata per soddisfare le necessità interne e viene usata per sostenere sentimenti di superiorità o per controllare l'ansia rispetto alle proprie procedure di analisi e previsione futura. quella non era una perdita ma una forma diversa di guadagno»

- negazione: l’immagine spiacevole della realtà viene soppressa, negata per non essere vissuta. Si tratta di un meccanismo mentale inconscio adoperato per risolvere un conflitto emotivo e per diminuire l’ansia che ne deriva: l’ansia dell'incerto, dell'imprevisto, del non sapere che fare. «non è vero, non ho perso»

- somatizzazione: espressione fisica di manifestazioni psichiche.
I disturbi che ne derivano sono chiamati somatoformi perché si esclude alla loro base una qualsiasi causa organica. Se lo stesso meccanismo di spostamento delle istanze psicologiche sul corpo si ritrova anche tra gli investitori, allora, bisogna cercare di capire che posto occupa il trading nella loro vita. Se risulta è sul podio delle cose importanti, il trading system è sicuramente un fattore stressante che va affrontato. «quando perdo soffro di mal di pancia»
- razionalizzazione: tendenza a dare spiegazioni razionali per tentare di giustificare atteggiamenti, opinioni o comportamenti che possono essere altrimenti inaccettabili. I motivi sottostanti sono determinati dall’istinto.
«Il trading mi serve per capire meglio l’economia... »
- controllo: tendenza a eliminare, ridurre le emozioni negative o, più genericamente, l’ansia relativa ad esperienze spiacevoli: nel nostro caso, esperienze di trading perdenti. Chi tende a controllare le sue esperienze (ed emozioni relative) di vita
pianificando ed organizzando il suo tempo coi più moderni mezzi
tecnologici a disposizione, non fa altro che guidare la dea bendata per
non lasciarsi sopraffare dai sentimenti di perdita, inevitabilmente
esistenti.
«Devo continuare a investire su quel titolo come ho fatto ieri... »
- spostamento: trasposizione di un sentimento dal suo oggetto interno verso un sostituto esterno. Lo spostamento permette la rappresentazione simbolica dell’oggetto originale in un modo che evoca meno angoscia dell'originale.
«Quando sono arrabbiato per una perdita, a casa me la prendo con mia moglie »


- rimozione: processo attivo destinato a mantenere al di fuori della coscienza sia l'avvenimento che la relativa emozione negativa.
La tendenza naturale e spontanea quindi è quella di mantenere in memoria (cosciente) solo quelle esperienze legate ad emozioni positive (esperienze di trading vincenti) e confinare nell’inconscio quelle legate alle nostre esperienze di trading perdenti.
«Non ricordo di aver perso mai somme esorbitanti... »



(tratto da "Psicologia del Trading on line", di Cantelmi T - Orlando F., ed. Centro Scientifico Editore, Torino, 2003)