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mercoledì 28 dicembre 2011

Articoli: Psicologia del Trading on Line

Le radici della dipendenza: un punto di vista psicosociale

A determinare la dipendenza psichica di un individuo interviene la predisposizione della personalità.
La dipendenza patologica è una caratteristica dell’essere umano poiché tra l’individuo e l’oggetto si stabilisce una sorta di relazione. Quando ci rapportiamo agli altri stabiliamo uno scambio che si viene a creare entro uno spazio ben delimitato.
Studi psicosociali (Hall, 1966) hanno messo in evidenza l’importanza della distanza che si deve mantenere tra due persone nello scambio relazionale.
Le regole che governano la distanza fisica tra due soggetti variano a seconda della natura della relazione.
Per questo motivo, si individuano 4 aree di relazione:
1)     L’area dell’intimità, compresa tra il contatto fisico e una distanza di 50 cm. Questa area è ad appannaggio delle conoscenze più strette, per cui se si inserisce un estraneo la risposta più naturale è il sospetto o l’irritazione.
2)   L’area della distanza personale, compresa tra mezzo metro e un metro e mezzo. Questa area è aperta agli amici più intimi, alle conoscenze fidate e alle persone con cui si condividono interessi particolari.
3)   L’area della distanza sociale, compresa tra un metro e mezzo a tre metri e mezzo di distanza dal corpo. Questa è l’area delle relazioni impersonali, dei rapporti di lavoro o degli incontri occasionali.
4)   L’area pubblica che va al di là dei tre metri e mezzo ed è l’area in cui si stabiliscono gli incontri formali e quelli importanti con persone di alto rango.

Tali studi misero in evidenza come l’importanza dei confini personali determini la buona riuscita della relazione tra due o più individui.
Quando si ha troppo bisogno dell’altro, esso non fa altro che riempire un aspetto di noi stessi che sentiamo vuoto. In questo caso si verifica la dipendenza dall’oggetto esterno. La richiesta che viene rivolta da questo individuo è una richiesta esagerata poiché questo tipo di vicinanza non permette un semplice scambio relazionale, ma un bisogno di identità, il bisogno di trovare il proprio Sé.
Le carenze personali trovano soddisfazione attraverso la relazione: il giocatore d’azzardo, così come il tossicodipendente, cerca qualcosa che lo faccia sentire vivo; essi si nutrono, con una modalità quasi bulimica, dell’oggetto esterno (gioco, sostanza stupefacente...) in modo che l’esterno si internalizzi per diventare parte di sé. L’esterno è perciò utilizzato per controbilanciare l’interno.
La personalità dipendente ha importanti problemi di fragilità del Sé.
Il Sé è l’apparato psichico che filtra gli aspetti interni per coniugarli con la realtà esterna, è l’organizzazione narcisistica di base, il senso di esserci e di funzionare.
Il Sé è un’importante parte di noi che si sviluppa pian piano nel rapporto iniziale con la madre. La madre deve trasmettere al bambino emozioni positive del proprio corpo facendogli il bagnetto, parlandogli, dicendogli che è bello, accudendolo in ogni suo bisogno. In questo modo il bambino si sente amato, si costruisce una buona autostima e sarà in grado di affrontare, in adolescenza, i cambiamenti interni ed esterni al suo Sé.
Questa internalizzazione del funzionamento della madre gli consente di metter dentro di sé le funzioni dell’autocura, del contenimento creando una situazione di autocostruzione che gli permetterà di prendersi cura del proprio autofunzionamento interno. Tutto questo meccanismo psichico naturale comincia a non funzionare quando  intervengono degli impedimenti ad opera della persona della madre, perché problematica o con conflitti non ancora risolti col proprio Sé e, per questo, non adeguatamente in grado di svolgere il compito richiesto.
Quando la madre utilizza il bambino come sostituto per far funzionare il suo Sé, il bambino si trova in una situazione di rischio. La madre non riesce a riconoscere i bisogni del figlio, non gli permette di costruirsi il suo autofunzionamento: si creano le basi per una futura dipendenza.
In tal modo il bambino cresce con la certezza di non aver bisogno del terzo (il padre o, la sua rappresentazione simbolica, l’esterno), per la presenza materna costante che lo soddisfa in ogni richiesta e necessità. Il bambino si attacca a questo esterno materno e la madre si sente soddisfatta di questa “relazione”.
Il padre, che dovrebbe terzializzare la relazione con lo scopo di tagliare il cordone ombelicale fisico e psichico e di presentare al bambino l’esistenza di una realtà esterna più allargata per smitizzare questo grande valore della madre, non ha però possibilità di entrata; in tal modo il bambino si fisserà nell’area border, nella fase ancora antecedente a quella in cui poter fruire dei benefici dell’identificazione col padre.
Quando il soggetto possiede un Sé fragile è dunque attaccato all’esterno, ha un’identificazione paterna carente e rischia di rimanere impigliato in relazioni di dipendenza affettiva sviluppando forti conflitti e sensi di colpa.

Le radici della dipendenza
A determinare la dipendenza psichica di un individuo interviene la predisposizione della personalità.
La dipendenza patologica è una caratteristica dell’essere umano poiché tra l’individuo e l’oggetto si stabilisce una sorta di relazione. Quando ci rapportiamo agli altri stabiliamo uno scambio che si viene a creare entro uno spazio ben delimitato.
Studi psicosociali (Hall, 1966) hanno messo in evidenza l’importanza della distanza che si deve mantenere tra due persone nello scambio relazionale.
Le regole che governano la distanza fisica tra due soggetti variano a seconda della natura della relazione.
Per questo motivo, si individuano 4 aree di relazione:
1)      L’area dell’intimità, compresa tra il contatto fisico e una distanza di 50 cm. Questa area è ad appannaggio delle conoscenze più strette, per cui se si inserisce un estraneo la risposta più naturale è il sospetto o l’irritazione.
2)     L’area della distanza personale, compresa tra mezzo metro e un metro e mezzo. Questa area è aperta agli amici più intimi, alle conoscenze fidate e alle persone con cui si condividono interessi particolari.
3)     L’area della distanza sociale, compresa tra un metro e mezzo a tre metri e mezzo di distanza dal corpo. Questa è l’area delle relazioni impersonali, dei rapporti di lavoro o degli incontri occasionali.
4)     L’area pubblica che va al di là dei tre metri e mezzo ed è l’area in cui si stabiliscono gli incontri formali e quelli importanti con persone di alto rango.

Tali studi misero in evidenza come l’importanza dei confini personali determini la buona riuscita della relazione tra due o più individui.
Quando si ha troppo bisogno dell’altro, esso non fa altro che riempire un aspetto di noi stessi che sentiamo vuoto. In questo caso si verifica la dipendenza dall’oggetto esterno. La richiesta che viene rivolta da questo individuo è una richiesta esagerata poiché questo tipo di vicinanza non permette un semplice scambio relazionale, ma un bisogno di identità, il bisogno di trovare il proprio Sé.
Le carenze personali trovano soddisfazione attraverso la relazione: il giocatore d’azzardo, così come il tossicodipendente, cerca qualcosa che lo faccia sentire vivo; essi si nutrono, con una modalità quasi bulimica, dell’oggetto esterno (gioco, sostanza stupefacente...) in modo che l’esterno si internalizzi per diventare parte di sé. L’esterno è perciò utilizzato per controbilanciare l’interno.
La personalità dipendente ha importanti problemi di fragilità del Sé.
Il Sé è l’apparato psichico che filtra gli aspetti interni per coniugarli con la realtà esterna, è l’organizzazione narcisistica di base, il senso di esserci e di funzionare.
Il Sé è un’importante parte di noi che si sviluppa pian piano nel rapporto iniziale con la madre. La madre deve trasmettere al bambino emozioni positive del proprio corpo facendogli il bagnetto, parlandogli, dicendogli che è bello, accudendolo in ogni suo bisogno. In questo modo il bambino si sente amato, si costruisce una buona autostima e sarà in grado di affrontare, in adolescenza, i cambiamenti interni ed esterni al suo Sé.
Questa internalizzazione del funzionamento della madre gli consente di metter dentro di sé le funzioni dell’autocura, del contenimento creando una situazione di autocostruzione che gli permetterà di prendersi cura del proprio autofunzionamento interno. Tutto questo meccanismo psichico naturale comincia a non funzionare quando  intervengono degli impedimenti ad opera della persona della madre, perché problematica o con conflitti non ancora risolti col proprio Sé e, per questo, non adeguatamente in grado di svolgere il compito richiesto.
Quando la madre utilizza il bambino come sostituto per far funzionare il suo Sé, il bambino si trova in una situazione di rischio. La madre non riesce a riconoscere i bisogni del figlio, non gli permette di costruirsi il suo autofunzionamento: si creano le basi per una futura dipendenza.
In tal modo il bambino cresce con la certezza di non aver bisogno del terzo (il padre o, la sua rappresentazione simbolica, l’esterno), per la presenza materna costante che lo soddisfa in ogni richiesta e necessità. Il bambino si attacca a questo esterno materno e la madre si sente soddisfatta di questa “relazione”.
Il padre, che dovrebbe terzializzare la relazione con lo scopo di tagliare il cordone ombelicale fisico e psichico e di presentare al bambino l’esistenza di una realtà esterna più allargata per smitizzare questo grande valore della madre, non ha però possibilità di entrata; in tal modo il bambino si fisserà nell’area border, nella fase ancora antecedente a quella in cui poter fruire dei benefici dell’identificazione col padre.
Quando il soggetto possiede un Sé fragile è dunque attaccato all’esterno, ha un’identificazione paterna carente e rischia di rimanere impigliato in relazioni di dipendenza affettiva sviluppando forti conflitti e sensi di colpa.

 
Una curiosa “analogia”
Per Freud lo sviluppo psichico del bambino passa attraverso vari stadi di evoluzione psicosessuale caratterizzati dal passaggio e dalla concentrazione della libido da una zona erogena all’altra.  Dallo stadio orale che si focalizza sull’erotismo orofacciale, per cui ogni tipo di conoscenza – anche quella sessuale – passa attraverso la bocca e i suoi derivati, si passa alla fase anale in cui il bambino acquisisce una progressiva indipendenza dettata dall’emergere di nuovi bisogni che si affacciano alla conoscenza del bambino di circa 2-3 anni. Le espressioni orali continuano a manifestarsi, ma con esse contemporaneamente nuovi bisogni e nuovi conflitti: la fonte pulsionale corporea è incentrata non solo nella mucosa anorettale ma anche in tutta la mucosa intestinale. Per Abraham l’ano corrisponde embriologicamente alla bocca primitiva, migrata in basso fino all’estremità dell’intestino; per altri, la convinzione comune a tutti i bambini è la teoria cloacale della nascita per cui il bambino viene partorito dall’intestino come materia escrementale.
Successivamente, il bambino vivrà il primo periodo del primato genitale attraverso la fase fallica: in essa le precedenti pulsioni parziali andranno ad abbozzare una relativa unificazione, con l’obiettivo di giungere, alla fine dello stadio genitale, ad una piena fusione e integrazione di tutti gli impulsi precedenti sulle zone genitali e attraverso l’investimento della libido sui coetanei, generalmente di sesso opposto.
Dopo che le feci hanno perso il loro valore l’interesse del bambino è rivolto ad oggetti che possono essere offerti in regalo. E poiché le feci furono il primo regalo che il bambino poté fare alla madre, analogamente egli investe il suo pene. Quando si accorge che le bambine non possiedono un pene, egli arriva a considerarlo come qualcosa di staccabile, acquistando l’inconfondibile analogia con gli escrementi, che furono il primo pezzo di materia corporea cui il bambino dovette rinunciare.

                                                                       ***

Lo stadio anale è un momento importante nello sviluppo delle relazioni con gli altri, perché il bambino comincia a distinguere tra interno ed esterno, fra me e non me.
Il contenuto intestinale rappresenta infatti una moneta di scambio fra il bambino e la madre nel senso che egli può viverlo come regalo da offrire o, all’opposto, da negare esprimendo quanto egli sia disposto così ad adattarsi alle richieste che gli vengono poste. È chiaro che il conflitto tra il trattenere e l’espellere, tra l’essere assertivo o oppositivo, tra la generosità e l’avarizia è influenzato da molte variabili quali l’età e l’atteggiamento flessibile o rigido di chi si prende cura del bambino riguardo la defecazione, il controllo e  la pulizia.
Ciò che si richiede al bambino di quest’età è la capacità di sapersi controllare, quando serve: l’espulsione spontanea involontaria della fase precedente deve essere sostituita da un’espulsione volontaria. Così il desiderio di gratificazione immediata viene frustrato per dar luogo alla capacità di differimento. Alcuni bambini reagiscono a regole di pulizia severa trattenendo le feci ed esprimendo così atteggiamenti di negativismo e opposizione (relazione masochistica). I materiali fecali così trattenuti, veri e propri "primi risparmi", rimangono in correlazione inconscia con tutte quelle attività che abbiano alla loro base il raccogliere, il collezionare, altri defecano in modo incontrollato i luoghi inadeguati esprimendo così atteggiamenti oppositivi con minor controllo pulsionale, il tipico atteggiamento iroso, (relazione sadica). Come reazione a un’educazione particolarmente rigida a tenersi pulito, il bambino può diventare sporco, disordinato e irresponsabile o, all’opposto, coercitivamente pulito, frugale ed estremamente controllato. Quando, infatti, l'odore delle feci diventa repellente, l’interesse si sposta su un altro materiale meno maleodorante come il fango e poi, quando il senso di pulizia diventa per lui importante, qualsiasi materiale umido e viscoso viene sostituito dalla sabbia che pur mantenendo lo stesso colore è asciutta e pulita.
Successivamente anche la sabbia diventa inaccettabile e inizia così quella che Ferenczi definisce "l'età infantile della pietra", durante la quale il bambino raccoglie conchiglie, sassi levigate e pietrine d'ogni colore e forma, oggetto della mania collezionistica infantile, per poi maneggiare monete e monetine. Originariamente non è il valore puramente economico a interessare il bambino, ma il piacere di guardare, manipolare, giocare con i dischetti metallici. «In questo modo lo sviluppo del simbolo del denaro è compiuto. Il piacere che prima dava il contenuto intestinale, ora diviene piacere per il denaro che non è altro che "sterco inodore, disidratato e luccicante"» (Nobile, 2001)
La lode della madre per il bambino che riesce a tenersi pulito può fargli vivere le feci come regalo in cambio del quale ricevere amore: l’adulto che ne deriverebbe sarebbe un uomo che dona, un generoso; se il bambino rifiuta di cedere i suoi contenuti intestinali potrebbe diventare un adulto ritentivo e avaro, sicuramente un grande collezionista.
Sotto un profilo squisitamente psicopatologico, adulti fissati a questo stadio potrebbero manifestare importanti disturbi ossessivo – compulsivi, fobici, somatizzazioni a livello gastro – intestinale, ansia e depressione.
Un aspetto importante della concezione freudiana  è quella di rapportare simbolicamente le feci al denaro, l’oro al sudiciume; « la celebre equazione di Freud, denaro = feci, è un’implicita, per quanto involontaria, critica al funzionamento della società borghese e della sua possessività» (Fromm, 1976).
L’attuale società è infatti caratterizzata dal fenomeno del consumismo che ben si inserisce nella cultura dell’avere più che dell’essere, poiché rimanda al concetto di incorporare, trattenere ma anche a quello di eliminare, espellere.
« Il consumatore è come un bambino continuamente affamato delle cose: una condizione, questa, che ben si affianca alla dipendenza da sostanze e da comportamenti. Da una parte, infatti, il consumo placa l’ansia di possedere qualcosa che non può essergli tolto, dall’altra porta il soggetto a volere sempre di più dal momento che l’acquisto precedente perde, ben presto, il proprio carattere gratificante.
   Nei secoli addietro, l’acquisto aveva carattere duraturo e tutto ciò che si possedeva veniva tenuto in grande considerazione, curato e usato fino a quando era possibile. La filosofia moderna si basa sul consumo e non più sulla conservazione e l’acquisto viene fatto in previsione di essere poi buttato» (Cantelmi, Orlando, 2005)
Il denaro, rende di conseguenza i rapporti sociali inodori se non inesistenti, freddi, metallici, certamente anaffettivi.
«Nelle nostre società, da quando il denaro ha acquistato una singolare mobilità, passando di mano in mano senza sosta, e trasformando la condizione degli individui, innalzando o abbassando la famiglia, non c’è quasi più nessuno che non sia obbligato a fare sforzi disperati per cercare di conservarlo o acquisirlo. La brama di arricchirsi a ogni costo, il gusto degli affari, l’amore del guadagno, la ricerca del benessere e dei piaceri materiali sono dunque le passioni più comuni» (Tocqueville,1835)
 
Bibliografia
Cantelmi T. – Orlando F., Narciso siamo noi, San Paolo, 2005
Ferenczi S., Sull'ontogenesi dell'interesse per il denaro, 1914
Fromm E., Avere o essere?, Mondadori, 1977
Nobile G., L'Euro e l'età infantile della pietra, Il Manifesto, 2001
Tocqueville, La democrazia in America, Rizzoli,


La mente nella Rete
Le motivazioni
I motori decisionali degli investitori sono legati all’affermazione e all’avventura.
L’affermazione è la ricerca della riuscita e del potere. Lo spirito che alimenta l’affermazione è l’ilynx (la vertigine), il rischio per cui gli investitori spinti dal gusto per il rischio si chiamano ‘alpinisti’.
In particolare gli investitori spinti dal desiderio di riuscita sono indotti dalla soddisfazione che comporterebbe la riuscita dell’operazione; non si preoccupano del denaro perso o vinto, ma solo del meccanismo che li ha portati a vincere o perdere, rimanendo inconsapevolmente schiavi di un circolo vizioso subdolo e insidioso.
Sono sicuramente gli investitori più pericolosi perché non si interessano dei possibili danni economici. In questo caso, l’affermazione spinge a vincere.
L’avventura è, invece, la ricerca del successo e anche dell’insuccesso. Lo spirito che alimenta la motivazione dell’avventura invece è l’alea (dal lat., il gioco => la sfida al caso) per cui gli investitori spinti dal gusto della vittoria si chiamano semplicemente ‘gamblers’ (che in italiano significa ‘giocatori’). In particolare, i giocatori motivati all’insuccesso affrontano rischi più grandi di quelli che possono gestire (dunque finiscono in rovina) o rischi bassissimi connessi a guadagni altrettanto bassi ( cadono nella mediocrità e non crescono). In questo caso l’avventura spinge a rischiare.

Le emozioni
Si rintracciano due forze emotive di base che dominano il giocatore: lo spirito apollineo e lo spirito dionisiaco.
Chi gioca invaso da uno stato dionisiaco di intenti certamente cadrà nella trappola di rischio e dipendenza che tale operazione comporta.
Chi s’avvicina invece con uno stato apollineo di intenti, razionalizza ogni comportamento e calcola ogni sua mossa guidato dalla logica, da informazioni che ottiene dopo oculate ricerche e studi. Ma il gioco è fatto di spiriti apollinei e dionisiaci fusi insieme, in modo da garantire un’elasticità di movimento nelle operazioni con un pizzico di razionalità nel momento della scelta del gioco.
La gamma di emozioni che si provano di fronte al gioco riguardano la ‘gioia’ di un guadagno, la ‘tristezza’ di una perdita non solo materiale ma anche di stima personale, la ‘paura’ come emozione dinamica di qualcosa che può evolversi in perdita o in guadagno e che quindi si concretizza in tristezza o gioia, la ‘rabbia’ come effetto successivo della tristezza, infine il ‘disprezzo’ verso il sistema che non segue le intuizioni del giocatore e che lo porta a scegliere altri campi di interesse.

Meccanismi di difesa
Se la motivazione del trader è quella di emergere e di rischiare, considerando l’imprevedibilità del Mercato, il prezzo da pagare è sicuramente quello di fare i conti con l’ansia legata al rischio. Per superare l’ostacolo (che non comporta di per sé il raggiungimento del fine ma la messa in atto delle premesse per tale obiettivo), o almeno per difendersi dalle implicazioni psicologiche ad esso connesse (le emozioni connesse alla frustrazione), l’investitore mette in atto delle tecniche di comportamento per arginare l’ansia e conservare integra l’autostima personale., chiamate appunto meccanismi di difesa.
Distorsione, negazione, somatizzazione, razionalizzazione e controllo, spostamento e rimozione, questi i principali usati nel trading on line:

- distorsione: la realtà esterna è grossolanamente rimodellata per soddisfare le necessità interne e viene usata per sostenere sentimenti di superiorità o per controllare l'ansia rispetto alle proprie procedure di analisi e previsione futura. quella non era una perdita ma una forma diversa di guadagno»

- negazione: l’immagine spiacevole della realtà viene soppressa, negata per non essere vissuta. Si tratta di un meccanismo mentale inconscio adoperato per risolvere un conflitto emotivo e per diminuire l’ansia che ne deriva: l’ansia dell'incerto, dell'imprevisto, del non sapere che fare. «non è vero, non ho perso»

- somatizzazione: espressione fisica di manifestazioni psichiche.
I disturbi che ne derivano sono chiamati somatoformi perché si esclude alla loro base una qualsiasi causa organica. Se lo stesso meccanismo di spostamento delle istanze psicologiche sul corpo si ritrova anche tra gli investitori, allora, bisogna cercare di capire che posto occupa il trading nella loro vita. Se risulta è sul podio delle cose importanti, il trading system è sicuramente un fattore stressante che va affrontato. «quando perdo soffro di mal di pancia»
- razionalizzazione: tendenza a dare spiegazioni razionali per tentare di giustificare atteggiamenti, opinioni o comportamenti che possono essere altrimenti inaccettabili. I motivi sottostanti sono determinati dall’istinto.
«Il trading mi serve per capire meglio l’economia... »
- controllo: tendenza a eliminare, ridurre le emozioni negative o, più genericamente, l’ansia relativa ad esperienze spiacevoli: nel nostro caso, esperienze di trading perdenti. Chi tende a controllare le sue esperienze (ed emozioni relative) di vita
pianificando ed organizzando il suo tempo coi più moderni mezzi
tecnologici a disposizione, non fa altro che guidare la dea bendata per
non lasciarsi sopraffare dai sentimenti di perdita, inevitabilmente
esistenti.
«Devo continuare a investire su quel titolo come ho fatto ieri... »
- spostamento: trasposizione di un sentimento dal suo oggetto interno verso un sostituto esterno. Lo spostamento permette la rappresentazione simbolica dell’oggetto originale in un modo che evoca meno angoscia dell'originale.
«Quando sono arrabbiato per una perdita, a casa me la prendo con mia moglie »


- rimozione: processo attivo destinato a mantenere al di fuori della coscienza sia l'avvenimento che la relativa emozione negativa.
La tendenza naturale e spontanea quindi è quella di mantenere in memoria (cosciente) solo quelle esperienze legate ad emozioni positive (esperienze di trading vincenti) e confinare nell’inconscio quelle legate alle nostre esperienze di trading perdenti.
«Non ricordo di aver perso mai somme esorbitanti... »



(tratto da "Psicologia del Trading on line", di Cantelmi T - Orlando F., ed. Centro Scientifico Editore, Torino, 2003)







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